Nei primi giorni di febbraio 1918 la precaria situazione emotiva di Ardigò precipita. Padova, divenuta una città sul fronte e un nodo strategico fondamentale dopo la disfatta di Caporetto, è tormentata dai bombardamenti aerei soprattutto notturni che scuotono la città e i nervi della popolazione. La Giunta Municipale di Mantova, preoccupata dell’incolumità del vecchio Professore lo invita a rientrare a Mantova offrendogli piena ospitalità. Lui rifiuta riferendo che la salute non gli permette di muoversi e che comunque non temeva la morte. In realtà affaticato, malato, senza mezzi, incapace di lavorare, scosso nei nervi il filosofo il 6 febbraio 1918 tenta suicidio con un colpo al collo autoinfertosi con un grosso temperino. Subito soccorso e medicato viene suturato presso l’ospedale di Padova e quindi rimandato a casa per una delicata convalescenza. Amici e discepoli si attivano prontamente affinchè ad Ardigò vengano assicurate tutte le cure necessarie e si dispone il trasferimento urgente del malato a Mantova. Il Comune di Mantova organizza in gran fretta il trasporto in autolettiga con medico a bordo e trova per lui, grazie alla generosità della famiglia Posio, una adeguata sistemazione in una casa con giardino in via Principe Amedeo. Ardigò lentamente si riprende sebbene lo stato d salute rimanga sempre precario. Nonostante le sofferenze dal maggio del 1918 ricomincia a scrivere sino a pubblicare due nuovi saggi: Natura Naturans e L’idealismo e la scienza. Le condizioni di salute, i dolori, le crisi nervose tuttavia si succedono richiedendo la presenza giornaliera dell’Ufficiale Medico del Comune Francklin Vivenza. Nel dicembre 1919 Ardigò rinuncia definitivamente all’idea di tornare a Padova e cerca a Mantova, città che ha sempre profondamente amato, una nuova sistemazione che trova nella casa che era stata di Ippolito Nievo.
Immagine: Ardigò nel giardino di casa Posio a Mantova, primavera 1919, in G.F. Marini, Roberto Ardigò, Milano 1921