1828

Nascita a Casteldidone


1836

Trasferimento a Mantova


1845

Ingresso in Seminario


1848

Studi al Seminario Vescovile di Milano


1849

Morte del padre Ferdinando


1851

Ordinazione sacerdotale


1850-1854

Prefetto del Seminario (Martiri di Belfiore)


1854

Perfezionamento degli studi a Vienna


1855

Ardigò chiede di essere assunto come coadiutore bibliotecario presso la Regia Biblioteca


1856

Insegnamento alle scuole elementari


1862

Nomina a consigliere del Tribunale ecclesiastico


1863

Nomina a canonico della Cattedrale


1864

Fondazione del Gabinetto civico di lettura


1865-1867

Nomina a Fabbricere del Duomo


1866

Abilitazione all'insegnamento della Filosofia


1867

Polemica sulla "Favilla" in difesa della confessione auricolare


1868

Nomina a socio dell'Accademia Nazionale Virgiliana


1869

Prima pubblicazione di Ardigò


1870

Pubblicazione della "Psicologia come scienza positiva"


1871

Abbandono del sacerdozio


1872

Nomina a Direttore del Gabinetto civico di Lettura


1876

Abbandono degli incarichi pubblici


1880

Ispezione al Liceo Carducci durante le sue lezioni


1881-1909

Insegnamento all'Università degli Studi di Padova


1888

Trasferimento a Padova


1893, 1895-97, 1900

Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia all'Università degli Studi di Padova


1904

Conferimento della cittadinanza onoraria di Mantova


1905

Nomina a socio onorario dell'Accademia Nazionale Virgiliana e dell'Accademia dei Lincei


1909

Ardigò si ritira dall'insegnamento


1912-1918

Pubblicazione delle "Opere Filosofiche"


1918

Primo tentativo di suicidio


1919

Pubblicazione dell'opera "L'idealismo e la scienza"


1920

Morte di Roberto Ardigò

Nelle sale e nei depositi della Biblioteca Teresiana, oltre a preziosi documenti e numerose pubblicazioni, sono conservati anche ritratti e cimeli del filosofo Roberto Ardigò, mantovano d’elezione.

La presenza di questi oggetti presso la Biblioteca risponde essenzialmente alle volontà espresse dall’anziano maestro negli ultimi mesi della sua lunga esistenza quale segno dell’attaccamento sincero che egli ebbe sempre per Mantova, la mia cara Mantova…. della quale per mezzo secolo ho respirato il pensiero e l’anima, [1] e come ringraziamento per l’Amministrazione Municipale che gli riservò, ancora in vita, grandi onori e che gli offrì affettuosa ospitalità nell’ultima difficile fase della sua vicenda terrena.

Va sottolineato infatti che Ardigò, celebrato dai suoi contemporanei come l’ingegno più severamente forte e più fortemente nutrito del quale si onori oggi in Italia la Filosofia,[2] anche dopo il 1888, anno del suo trasferimento a Padova dove insegnava come docente universitario dal 1881, aveva continuato a mantenere vivi e continui rapporti con Mantova.

La città da parte sua, nel tempo, non aveva lesinato segni di profonda stima per colui che era ritenuto … uno dei più geniali ed autorevoli interpreti e difensori del libero pensiero, non dell’Italia soltanto, ma di tutto il mondo civile…[3]

Gli onori pubblici e privati da parte della cittadinanza mantovana, dei suoi allievi e discepoli e delle associazioni dei maestri e docenti mantovani sembrano moltiplicarsi soprattutto a partire dal 1898, con le celebrazioni del suo settantesimo compleanno. In particolare nel 1904 la Società Magistrale Mantovana in segno di stima per il fondamentale ruolo di pedagogista di Ardigò decide di intitolarsi a suo nome, mentre la Municipalità, per celebrarlo degnamente, gli dedica la nuova scuola elementare di Palazzo Aldegatti in via Chiassi, gli concede la cittadinanza onoraria e lo onora con la titolazione di una sala della Biblioteca e quella di una via cittadina. Anche l’Accademia Virgiliana, che già lo annoverava tra i suoi soci, lo nomina socio onorario. Del 1909 è la collocazione sulla facciata della Biblioteca e del Liceo nel quale Ardigò aveva insegnato dal 1856 al 1880, di un medaglione con il ritratto del filosofo, opera dello scultore mantovano Carlo Cerati.

 

In questo quadro non sorprende l’attenzione e la cura che, nel febbraio del 1918, subito dopo il primo tentativo di suicidio, l’Amministrazione comunale della città offre all’anziano professore. [4]

A Mantova Ardigò, circondato dalle cure attente di amici e estimatori, benchè molto provato fisicamente ed emotivamente, sembra ritrovare una certa serenità. Nel 1919, per ringraziare la Municipalità dell’ospitalità, del sussidio e delle cure offerte, Ardigò decide di lasciare alla Biblioteca della città alcuni suoi ritratti. A questa prima donazione si aggiungono altri due lasciti: sempre nel 1919 quello di Giovanni Marchesini, discepolo del Maestro che dona al Comune un nucleo di carte personali di Ardigò; nel 1929 quello di Piero Preda, amico e estimatore del filosofo, che offre alcuni ricordi e cimeli del filosofo. [5]

Grazie a queste generose donazioni oggi si conservano in Biblioteca Teresiana diversi fondi ardigoiani: fondo documentario con carte e documenti legati alla sua attività di docente, un nucleo librario composto in gran parte da volumi delle sue pubblicazioni da lui stesso donati alle biblioteche cittadine e un piccolo fondo con cimeli e ritratti del filosofo che merita di essere conosciuto dal grande pubblico.

di Chiara Pisani

 

Targa commemorativa a Roberto Ardigò

Carlo Cerati (1865-1948)

Marmo di Carrara, 1909, cm 120 x 190

Firmato in basso a destra: Cerati

Mantova, prospetto della Biblioteca Comunale e del Liceo Classico “Virgilio”

 

Nel febbraio 1908, in occasione dell’ottantesimo compleanno di Roberto Ardigò, vengono promosse, a Mantova come a Padova, fastose e partecipate celebrazioni.[1] La Società Magistrale Mantovana che dal 1904 si titolava con il suo nome, guidata dal presidente Vittorio Ferrari, si fa promotrice in prima linea per organizzare e sostenere le onoranze. Già nel dicembre 1907 viene indetta una pubblica sottoscrizione perché i festeggiamenti al Vegliardo illustre riescano degni di tanto Uomo.  

La cronaca delle celebrazioni, pubblicata sempre a cura della Società Magistrale, registra la complessità dell’organizzazione, sostenuta anche dall’Amministrazione Comunale.[2]

Tra le varie manifestazioni, l’Associazione Mantovana dei Professori delle Scuole Medie nel gennaio 1908 presenta al Comune, proprietario dell’edificio, la proposta di far collocare nell’atrio del Liceo nel quale Ardigò aveva insegnato dal 1856 al 1880, un medaglione con il ritratto del filosofo.[3] Del lavoro viene incaricato lo scultore mantovano Carlo Cerati,[4] coinvolto anche nella realizzazione della pergamena che la Società Magistrale volle donare al Maestro, ideata dal prof. Torquato Broglio.[5]

La lapide, collocata poi sulla facciata del Liceo, verrà inaugurata, alla presenza delle autorità, solo l’anno successivo, il 2 maggio del 1909, ma datata al 28 gennaio, giorno di nascita del maestro, uomo la cui vita è tutta un insegnamento e un esempio.[6]

La targa, molto curata in ogni suo dettaglio e ornata con motivi a vegetali di gusto Liberty, presenta il volto barbuto del filosofo in bassorilievo racchiuso entro un ovale. Cerati, artista raffinato capace di grande sensibilità e eccelsa maestria tecnica nella lavorazione del marmo, riesce a rendere viva e intensa l’espressione del volto del filosofo, oggi in parte spenta dell’usura del marmo.  Un ramo d’alloro e uno di quercia fanno da cornice al ritratto molto somigliante del vecchio maestro, colto quasi frontalmente e sicuramente ripreso da una fotografia, forse la stessa pubblicata all’epoca.[7] La firma di Cerati, posta in basso a destra sotto l’ovale, oggi appare appena visibile, mentre è scomparsa del tutto la scritta “MANTOVA” che si trovava subito sotto. Il raffronto con la fotografia della targa, pubblicata nel 1909, permette di cogliere altri dettagli che ora risultano poco leggibili a causa del dilavamento del marmo esposto agli agenti atmosferici. Dalla fotografia riemerge così la raffinatezza delle decorazioni incise ora scomparse, prende forza la vibrazione chiaroscurale dei fregi vegetali e l’espressione intensa dello sguardo dell’anziano professore.

Accanto al ritratto la dedica recita “A Roberto Ardigò/ qui per trent’anni maestro/ di verità positiva e di virtù civili/ l’associazione mantovana dei professori per pubblica contribuzione/28 gennaio 1909.

La targa fu riprodotta in prima pagina dalla Gazzetta di Mantova del 2 maggio 1909 che la definì un lavoro artisticamente perfetto e, nel medaglione, somigliantissimo, parlante quasi. L’Ardigò stesso scrisse, congratulandosi: un bravo! Anzi bravissimo! Devo dire allo scultore. Proprio bello! Il signor Cerati ha veramente il senso dell’arte, e un senso squisito.[8]

Sempre nel 1909 la targa appare riprodotta anche nella pubblicazioni dedicata a celebrare il ruolo di Ardigò nelle scuole mantovane; la stessa immagine, ben incorniciata, si riconosce infine sulla parete dello studio Mantova di Ardigò immortalato in un bella pubblicata da “Illustrazione italiana” del 26 settembre del 1920.[9]

 

 


[1] Per L’ottantesimo compleanno di Roberto Ardigò, in “Il Maestro Mantovano”, 1 febbraio 1908, n.  62; vedi anche “Il Maestro Mantovano” 1 marzo 1908, n. 63; 1 aprile 1908, n. 64; 1 dicembre 1908, n. 72; Giuseppe Tarozzi, Il Significato Storico e moderno del pensiero di Roberto Ardigò, Mantova 1908 [OP-CC 65.32] – discorso e cronaca dei festeggiamenti per 80° compleanno. ASCMN: CAT XV.2.1_1908: 178.496/1908 + 128.368/1908; 178.828/1908: Delibera di celebrazioni 80°compleanno Consiglio Comunale 24 gennaio 1908, Estratto della cittadinanza onoraria e 2 lettere autografe di Ardigò di ringraziamento.

[2] Tarozzi G., Il Significato Storico e moderno del pensiero di Roberto Ardigò, Mantova 1908, pp. 34-37.  Viene riportata anche la lettera datata 5 gennaio 1908, di Ardigò che, invitato, si scusava di non poter presenziare perché… alla mia età, e nelle condizioni nelle quali mi trovo, il più piccolo disagio, massime in questa stagione, basta a farmi cadere malato.

[3] ASCMN: CAT XV.2.1_1908: 128.457/1908; 128.2266/1909;

[4] Zacchia T., Carlo Cerati, uomo e artista in “Gazzetta di Mantova”, 5 novembre 1948, p. 3; Margonari R., Carlo Cerati, “modernista”, in “Civiltà Mantovana, n. 51-52, Mantova 1975, pp. 228-229; Sartori A., Cerati Carlo, in Artisti a Mantova nei secoli XIX e XX. Dizionario Biografico, vol. II, Mantova 2000, pp. 792-794; Cerati C., Rosa V., a cura di, Il furore e la grazia. Carlo Cerati Scultore 1865 – 1948, Casalmaggiore 2001, p. 137 n. 41; C. Pisani, Le raccolte storico artistiche della Biblioteca in C. Guerra La Biblioteca Comunale Teresiana fra storia e futuro, Mantova 2014, pp. 188-189.

[5] “Il Maestro Mantovano” 1 dicembre 1908, n. 72; Giuseppe Tarozzi, Il Significato Storico e moderno…, cit, 1908, p. 71; Mondolfo R., Roberto Ardigò nelle Scuole di Mantova, Mantova 1909, p. 1;

[6] Mantova a Roberto Ardigò in “Gazzetta DI Mantova”, 2 maggio 1909.

[7] “Il Maestro Mantovano” 1 febbraio 1908; Giuseppe Tarozzi, Il Significato Storico e moderno, cit, 1908, p. p. 2

[8] Margonari R., Carlo Cerati, “modernista”, in “Civiltà Mantovana, n. 51-52, Mantova 1975, p. 229 nota 18.

[9] Mondolfo R., Roberto Ardigò nelle Scuole di Mantova, Mantova 1909, p. 1; La morte di Roberto Ardigò in “Illustrazione Italiana”, 26 settembre 1920.

Ritratto del filosofo Ardigò Roberto

Cecilio Di Prampero (1870-1937)

olio su tela, 1908, cm 148 x 97. Inv. 96210075

Firmato in basso a sinistra: Cecilio

Mantova, Biblioteca Comunale Teresiana

 

Il grande quadro raffigurante il filosofo giunto ormai in età avanzata viene donato nel gennaio del 1919 ad Roberto Ardigò al Comune di Mantova per essere collocato nella Biblioteca Comunale. La volontà dell’anziano pensatore è registrata in due lettere inviate da Mantova a Padova all’allievo e amico Giovanni Marchesini che, insieme a Vittorio Osimo e Piero Preda, sarà affettuosamente vicino al filosofo negli ultimi momenti della sua vita, curandone poi la volontà testamentaria.

Nella lettera del 2 gennaio 1919 al Marchesini, Ardigò, informa il discepolo, precedentemente nominato erede di tutti i suoi beni, che il busto in gesso e il mio ritratto grande a olio col solito tabarrone sono desiderati qui per metterli nella Biblioteca Comunale… Tale indicazione è ribadita in una successiva lettera del 23 gennaio.[1]

Marchesini, benchè dispiaciuto, obbedisce e i documenti conservati presso l’Archivio Storico del Comune di Mantova e presso l’Archivio della Biblioteca Teresiana informano che il trasporto di un quadro ad olio a tutta grandezza raffigurante Ardigò e di un grande busto in gesso con la scritta “nulla temo perché nulla spero” avviene nell’aprile del 1919 in occasione del trasloco dei mobili del prof. Ardigò da Mantova a Padova.

Il grande dipinto ritrae il filosofo ormai anziano. La sua figura, minuta per la vecchiaia come denunciano il volto scavato e le mani ossute, è resa solenne dall’ampio mantello di tessuto pesante che lo avvolge, un indumento che il maestro amava indossare nei lunghi mesi invernali. Ardigò, raffigurato sino alle ginocchia, è in piedi su uno sfondo neutro. Sul volto severo attraversato da profonde rughe, gli occhi infossati sono lasciati in penombra, sottolineati dalle sopraccigli bianche e folte.  Le mani dalle lunghe dita nervose sono strette in grembo, in un gesto che gli era forse tipico e che troviamo in altri suoi ritratti fotografici. La bocca rimane completamente nascosta sotto i folti baffi macchiati di tabacco, mentre la lunga e curata barba bianca (profetica la definisce in una sua lettera) così caratteristica, spicca sui severi abiti scuri.  La testa stempiata e grigia è volta a destra, mostrando il profilo sinistro del viso, quello che più spesso mostra nei ritratti fotografici.[2]

L’impostazione ufficiale e solenne del ritratto suggerisce un’occasione celebrativa. Il ritratto fu infatti realizzato a Padova nel 1908 dal pittore Cecilio Di Prampero (1870-1937). Il pittore padovano, molto apprezzato all’epoca come ritrattista, riceve la commissione da un comitato di settecentosettantacinque amici e ammiratori del filosofo in occasione del suo ottantesimo compleanno.[3] I quotidiani padovani diedero risalto all’evento e informano che l’opera, molto lodata da Ardigò, venne anche esposta per alcuni giorni all’ammirazione di tutta la cittadinanza.

Come spesso accadeva all’epoca, il ritratto è stato ripreso da una fotografia. Proprio dal raffronto con i ritratti fotografici del filosofo, scatti che lui stesso commissionava e selezionava per inviarle a editori, amici e discepoli, è possibile cogliere la resa fedele nel dipinto del volto del maestro a settant’anni, mentre dalle parole del suo epistolario e da quelle dei suoi discepoli ed estimatori recuperiamo l’immagine di un anziano, posato signore che amava fumare la pipa, leggere e scrivere nel suo studio circondato dai libri oppure passeggiare in solitudine per le vie cittadine e nei campi, riflettendo silenziosamente, simile assai, come sottolineano più volte i suoi discepoli,[4] al ritratto del filosofo che lo stesso Ardigò tracciava nel 1869: E’ il pensatore un uomo che ama la solitudine. Ma non perché sia privo di sentimenti benevoli, chè anzi in lui si trovano generosi… e nemmeno perché non apprezzi la stima e la lode degli uomini… nobilmente altero nella sua oscurità, solo egli rinuncia sdegnosamente all’onore che si acquista con le umili arti. Egli ama la solitudine, perché di nulla più si compiace, che nella vita del pensiero. Solo co’ suoi libri, si riflettono nel suo spirito, come in ispecchio, le idee dei tempi passati. Solo in mezzo ai campi, la natura ne tocca i sensi colla magia delle sue voci… e il pensiero rampolla più vigoroso nella sua mente, fatta quasi profetica. Nessuno è testimonio del lavoro che in essa ferve….

 


[1] Büttemeyer W., Lettere edite…cit., vol.II: 1895-1920, Frankfurt am Main, 2000, p. 439 n. 938. pp. 441-442 n. 942. Il 23 gennaio, nuovamente al Marchesini scrive: A questi del Municipio di Mantova premerebbe per collocare in memoria mia nella Biblioteca comunale il busto in gesso, il mio ritratto grande a olio … Il busto in gesso donato da Ardigò alla Biblioteca nel 1919 fu in effetti consegnato all’Avvocato Elleno Pezzi, segretario generale del Comune di Mantova nel 1919. Il busto fu collocato dall’Amministrazione Comunale alla nuova sede della nuova scuola elementare a lui dedicata in Palazzo Aldegatti. Un successivo documento del 1929 informa della collocazione del busto, su proposta di Cesare Ferrarini Direttore della Biblioteca, vicino alla parete della sala di lettura che è di fronte alla porta d’ingresso tra i ritratti del Pomponazzo e del Folengo.  ASCMN, XV 2.1 1908, prot. 1027 del 7 aprile 1919; prot. 1234 del 7 marzo 1927.  ABCMN, Nota dattiloscritta di Cesare Ferrarini che informa sulla collocazione dell’opera al 3 marzo 1927. Purtroppo però dopo tale data i documenti non registrano più la presenza di tale opera che ad oggi risulta dispersa.

[2] La nazione dipinta: storia di una famiglia tra Mazzini e Garibaldi, a cura di Maurizio Bertolotti, Milano 2007, p. 151-152; C. Pisani, Le raccolte storico artistiche della Biblioteca in C. Guerra La Biblioteca Comunale Teresiana fra storia e futuro, Mantova 2014, pp. 188-189.

[3] Cecilio Luigi Giacomo Di Prampero apparteneva a un ramo collaterale di una nobile famiglia friulana. Non si hanno notizie precise sulla sua formazione avvenuta comunque in ambito veneto. I primi documenti ne attestano a partire dal 1892 l’attività di abile restauratore e ritrattista. Fu patriota e combattente. Vedi Franceschetti P., Cecilio Di Prampero, un ritrattistra titolato, in “Padova e il suo territorio”, sett.-ott- 2019, p.29. L’artista era solito firmarsi con il solo nome di Cecilio, firma che infatti compare, vistosa, in rosso nell’angolo in basso a sinistra.

[4] Lo stesso passo è riportato in riferimento al ritratto ideale di Ardigò sia da Giovanni Marchesini che da Giuseppe Tarozzi; Marchesini G., Roberto Ardigò. L’uomo e l’umanista, Firenze 1922, p.59. Tarozzi G., Roberto Ardigò, Roma 1928, p. pp. 7-8.

Busto di Roberto Ardigò. "Nulla temo perchè nulla spero"

Nulla temo perché nulla spero

Rino Veneziani (notizie 1900-1925)

Gesso, 1921, cm 68 x 47

Firmato e datato in basso a destra B.R. Veneziani 1921

Mantova, Biblioteca Comunale Teresiana

 

Il grande busto in gesso raffigura Ardigò in età ormai molto avanzata.  Tutta la forza del ritratto sembra concentrarsi negli occhi infossati, coronati dalle sopracciglia folte ed espressive, che ben restituiscono l’intensità dello sguardo del filosofo, documentato anche dai suoi ritratti fotografici. Contribuisce a suggerire un senso di energia vitale anche la leggera rotazione laterale del busto e della testa, che anima la vibrazione chiaroscurale. Al contrario la lunga barba e il busto appaiono modellati in maniera meno accurata, forse per una precisa scelta artistica volata a concentrare l’attenzione dello spettatore proprio sul volto. Completa l’opera la presenza, in basso, sopra un festone di fiori, di un motto inciso Nulla temo perché nulla spero; sul fianco destro infine si trova la firma “B.R. Veneziani 1921”.

Si tratta dello scultore mantovano Rino B. Veneziani, in attività nei primi decenni del ‘900 a Mantova e provincia e nei limitrofi territori veneti.[1] Veneziani conosceva personalmente Ardigò, il suo nome compare infatti tra quelli che furono in amicizia assidua con l’anziano maestro nei suoi ultimi mesi di vita.[2]

Tra il 1920 e il 1921 sono documentate altre due opere di Veneziani, oggi di collocazione ignota, che ritraevano Ardigò: una testa modellata in gesso o terracotta pubblicata sulla rivista “Procellaria” del maggio 1920 e un disegno a sanguigna sempre della testa di Ardigò presentato alla mostra artistica che si tenne nella sede della Famiglia Artistica Mantovana, in piazza Castello, nel settembre del 1921.[3] Va ricordato che proprio nel settembre del 1921 a Mantova furono organizzate importanti celebrazioni in ricordo della morte del filosofo e con tutta probabilità il busto venne realizzato in quell’occasione.

Molto significativa è la presenza della scritta Nulla temo perché nulla Spero, motto caro al vecchio maestro. Giovanni Marchesini, amico e allievo di Ardigò, ricorda infatti che queste parole erano il suo motto di battaglia, la formula della sua purezza e indipendenza[4]… con la quale egli soleva compiacersi della propria integrità ed indipendenza.[5]

Il busto in gesso quindi offre dunque insieme sia un ritratto fisiognomico del vecchio maestro sia, nel motto che lo accompagna, un ritratto interiore dell’uomo che di sé affermava: … sono positivista, sono repubblicano, sono socialista: ma nelle questioni speciali mi riservo piena libertà di pensare a modo mio.[6]

La scritta si accompagna ad una cornice di fiori che orna la base del busto. Si tratta certo di un motivo caratteristico del linguaggio liberty, ma va avanzata anche l’ipotesi suggestiva che l’inserimento di questo elemento fiorito sia il riferimento elegante ad un interesse particolare e poco nota del filosofo, il suo amore per i fiori e per i giardini. Questo interesse lo aveva portato addirittura a trasformare il sassoso cortiletto della sua casa in Mantova[7] in un bel giardino, opera in gran parte della sua stessa mano, dove egli aveva raccolte e con arte mirabile disposte le più svariate piante. [8]

Il busto, recentemente restaurato viene esposto al pubblico per la prima volta dopo molti decenni. Il ritratto è giunto in Biblioteca Teresiana nel 1929 come dono dell’imprenditore milanese Piero Preda che si era interessato del filosofo a seguito della pubblicazione di un articolo di Giovanni Marchesini, che il 20 febbraio 1818 (pochi giorni dopo il primo tentativo di suicidio di Ardigò) pubblicava su “Il Secolo” di Milano un articolo titolato La povertà di Roberto Ardigò nel quale denunciava la condizione di indigenza dell’anziano maestro.[9] La situazione attirò l’attenzione dell’industriale milanese che, inizialmente in modo anonimo, si fece carico di inviare ad Ardigò un prezioso aiuto economico che fu di sollievo negli ultimi mesi di vita del maestro.[10]

Dopo la scomparsa del filosofo, nel 1929, Preda contatta l’Amministrazione Comunale di Mantova per donare alcuni cimeli che egli conserva in memoria dell’Ardigò, certo che il maestro sarebbe stato felice che tali oggetti potessero tornare alla sua Mantova diletta.[11] L’Amministrazione accetta prontamente, pagando tutte le spese di trasporto. Cesare Ferrariri, direttore della Biblioteca, nel dare conto di detta consegna, propone la realizzazione di uno scaffaletto (con targa portante il nome del donatore) …per riporveli e tenerveli decorosamente, fino a che l’ampiamento della Biblioteca permettesse di destinare tutta una sala alla memoria del filosofo.[12]


[1] “Procellaria”, maggio 1920, pp. 8-9; Sartori A., Artisti a Mantova nei secoli XIX e XX: dizionario biografico, Mantova 1999, pp. 3180-3181.

[2] Il nome di Rino Veneziani compare tra gli quelli di quanti frequentavano in amicizia il filosofo durante i suoi ultimi mesi. La notizia è riportata da Gian Francesco Marini, che fu introdotto da Vittorio Osimo in casa del maestro e che gli scattò diverse fotografie. Cfr. Gian Francesco Marini, Roberto Ardigò, Milano 1921, p. 22; Büttemeyer W., Lettere edite…cit., vol.II: 1895-1920, Frankfurt am Main, 2000, n. 951, pp. 446-447. Il raffronto con le poche opere documentate dello scultore Veneziani tuttavia fanno nascere qualche sospetto sull’originalità dell’ideazione dell’opera, per molti aspetti molto vicina ai modi di Carlo Cerati che già aveva ritratto il maestro nella targa del Liceo di Mantova nel 1909.  La coincidenza inoltre della presenza del motto ardigoiano (che i documenti attestano presente sul busto in gesso donato dal filosofo alla Biblioteca nel 1919 e purtroppo andato disperso) induce a ipotizzare che possa trattarsi della copia di quel busto. Non ci sono tuttavia documenti a sostegno di questa che resta quindi per ora solo un’ipotesi da vagliare.

[3] “Procellaria”, maggio 1920, pp. 8-9.

[4] G. Marchesini, Lo Spirito evangelico di Roberto Ardigò, Bologna 1919, p. 19.

[5] G. Marchesini, Roberto Ardigò. L’uomo e l’umanista, Firenze 1922, p. 61.

[6] Büttemeyer W., Lettere edite…cit., vol.I: 1850-1894, Frankfurt am Main, 1990, n. 332, pp. 328-329.

[7] Il cartellino individuale conservato presso L’ASCMN registra come abitazione dell’Ardigò dal 25 febbraio 1881 al 14 settembre 1888, data del suo trasferimento a Padova, una casa in via Bronzetti, 8.

[8] Gazzani A., L’Ardigò artista, in Groppali A., Marchesini G., a cura di, Nel 70° anniversario di Roberto Ardigò, Torino 1898, p. 101-102. Riportiamo l’intero brano perché estremamente significativo: …Chi ricorda la sua casa in Mantova, non può aver dimenticato il giardino, trasformazione di un sassoso cortiletto per opera in gran parte della sua stessa mano, dove egli aveva raccolte e con arte mirabile disposte le più svariate piante; quale slanciante l’alto fusto e i rami oltre il muro di cinta, quale sorgente appena da terra formando un’ombrosa macchia, e i sinuosi aggiramenti dei viali, putti e amorini; e ricorderà l’edera e l’altre piante coprir tutto il muro verde, destando un intenso senso di pace e di tranquillità, e la grotta sassosa, egli tante ore si ritrasse pensando, e che fa rivivere nella fantasia un popolo di ninfe e le descrizioni di Ovidio e dell’Ariosto; e da per tutto una frescura di campagna, ed il silenzio della solitudine, di quella solitudine tanto cara al nostro filosofo, nella quale gusta tutto il dolce della meditazione scientifica. Ed anche ora nella sua casa in Padova, remota dal centro e dal rumore della città, egli ha rinnovato quasi il giardino di Mantova, rivelando nei più minuti particolari la sua mente calcolatrice dell’ordine, dell’euritmia, dell’armonia…

[9] Marchesini sottolinea più volte le difficili condizioni economiche in cui è costretto a vivere Ardigò, prima a causa dello scarso stipendio di insegnante, poi per la pensione ancora più misera, tanto che più volte è costretto a ricorrere al Monte di pietà. G. Marchesini, Lo Spirito evangelico di Roberto Ardigò, Bologna 1919, pp.23-26, 112 nota 30.

[10] Piero Preda (1879-1940) inviò 500 lire trimestrali sino alla morte di Ardigò. Cfr. Büttemeyer W., Lettere edite…cit., vol.II: 1895-1920, Frankfurt am Main, 2000, n. 913, pp. 423-424, vedi anche n. 914, p. 424 e 919-920 p. 426. Da parte sua Marchesini rende merito al Preda in G. Marchesini, Lo Spirito evangelico di Roberto Ardigò, Bologna 1919, p. 112, nota 30.

[11] ASCMN, XV.2.1 1921, prot. 1812, lettera del 4 aprile 1929. La lettera riporta anche l’elenco dei bene donati: 1 maschera di Roberto Ardigò; 1 forma della maschera; 1 cofanetto contenente le reliquie della sua barba; 1album contenente le firme di amici e ammiratori, due busti in gesso dello scultore veneziani

1 ritratto a olio di ardigò; 2 ritratti a olio dei suoi nonni; 1 binocolo di sua proprietà. Gli oggetti furono effettivamente trasportati a Mantova il 6 aprile 1929.

[12] ASCMN, XV.2.1 1921, prot. 1812, lettera del 4 aprile 1929. Lettera del Ferrarini al Podestà del 2 maggio 1929.

Testa di Roberto Ardigò

Rino B. Veneziani (notizie 1900-1925)

Gesso patinato bronzo, 1921 ca., cm 66x20

Mantova, Biblioteca Comunale Teresiana

 

La testa in gesso lavorato a bronzo di Ardigò è da identificarsi con il secondo ritratto in gesso donato dall’industriale milanese Pero Preda nel 1929 alla Biblioteca di Mantova. Piero Preda fu il generoso benefattore che sollevò le difficili condizioni economiche di Ardigò negli ultimi mesi della sua vita. Aiutò Giovanni Marchesini e Vittorio Osimo a rendere più tranquilla la vita del filosofo che nel 1919 aveva trovato rifugio a Mantova.[1] La benevola vicinanza di Piero Preda è documentata anche nell’epistolario del vecchio maestro che a lui si rivolge ringraziandolo per il sussidio solo poche settimane prima della morte.[2]

Fu probabilmente in una delle occasioni in cui Preda fu a Mantova, prima o dopo la morte di Ardigò, che l’industriale avrà avuto modo di conoscere lo scultore mantovano Rino Veneziani il cui nome è citato da Gian Francesco Marini, maestro elementare e fotografo dilettante, tra quelli degli intimi che portarono conforto all’anziano filosofo.[3]

Le caratteristiche stilistiche della testa ardigoiana della Biblioteca appare in effetti molto vicina a quella pubblicata su “Procellaria” del maggio 1920, per quanto si possa cogliere dal solo raffronto fotografico con quest’opera andata perduta. Difficile dire se si tratti, come sembra, in entrambi i casi di un ritratto dal vivo o di una rappresentazione derivata da fotografia da parte di un artista che conosceva molto bene la persona ritratta.

Nella testa in esame in ogni caso il volto del filosofo appare smagrito e scavato, la bocca come sempre coperta dai caratteristici baffi imponenti e dalla lunga barba. Ma quello che colpisce ancora una volta è la forza dello sguardo del maestro che l’artista rende assai bene. Queste stesse caratteristiche del resto le ritroviamo anche in alcune descrizioni del filosofo scritte da persone che lo conoscevano molto bene.

Gian Francesco Marini, nella sua biografia di Ardigò, che conobbe personalmente durante l’ultimo soggiorno mantovano prima della sua morte scrive: Ardigò aveva una testa leonardesca dalle linee scultoree cui dava un imponente rilievo la opulenza di una fluida candida barba. E quel volto, che parlava anche quando le labbra tacevano e gli occhi non brillavano di faville luminose, si animava tutto di un incanto maliardo quando la bocca apriva e gli occhi muovevano lucidi e rapidi nella fonda occhiaia.[4]

Sempre nel 1921 un altro dei suoi discepoli, Giuseppe Zamboni, che lo ricordava dai tempi dell’Università a Padova, così lo descrive: Nella faccia dell’Ardigò due cose dominavano: la barba fluente, bianca; e l’occhio, infossato quasi nella caverna dell’orbita protetta dalla tettoia di folte sopracciglia bianche; anzi, piuttosto che l’occhio, si notava la fissa direzione dello sguardo verso l’infinito sempre più lontano.[5]

 


[1] G. Marchesini, Lo Spirito evangelico di Roberto Ardigò, Bologna 1919, nota 30, p. 112.

[2] L’ultima lettera di Ardigò a Preda è infatti datata 30 luglio 1920, cfr. Büttemeyer W., Lettere edite…cit., vol.II: 1895-1920, Frankfurt am Main, 2000,, n. 966, p. 454.

[3] Gian Francesco Marini fu introdotto da Vittorio Osimo in casa d Ardigò e fu probabilmente lui l’ultimo a fotografarlo. Cfr. Marini G.F., Roberto Ardigò, Milano 1921, p. 22; Butte, nn. 951, 961. Il nome di Marini e di Rino Veneziani compaiono più volte anche sulla stampa locale come coloro che furono accanto ad Ardigò nella triste vicenda della sua morte: “La Voce di Mantova”, 31 agosto, 17 settembre 1920.

[4] Marini G.F., Roberto Ardigò, Milano 1921, p. 5.

[5] Zamboni G., Il valore scientifico del positivismo di Roberto Ardigò e della sua conversione. Appunti critici, Verona 1921, p.5. Il veronese Giuseppe Zamboni (1875-1950) fu filosofo e accademico in gnoseologia. Studiò a Padova laureandosi nel 1897 in Lettere e nel 1900 in Filosofia. Fu allievo di Ardigò del quale studiò appassionatamente le opere prendendo però successivamente posizioni decisamente anti-positivistiche.

Maschera funeraria di Roberto Ardigò

Rino B. Veneziani (notizie 1900-1025)

Gesso, 1920, cm 42x17x11

Mantova, Biblioteca Comunale Teresiana

 La donazione di cimeli ardigoiani che Piero Preda nel 1929 offre al Comune di Mantova comprendeva, oltre ai due busti in gesso, anche la forma e la maschera in gesso del filosofo, che probabilmente fu realizzata su richiesta di Preda stesso.

Andata persa la forma, in Biblioteca Teresiana si conserva ancora la maschera che fissa la fisionomia del filosofo così come esso appariva sul letto di morte.[1]

Gian Francesco Marini, che fu tra coloro che frequentarono la casa di Ardigò nelle sue ultime settimane mantovane, nel ricordare i tragici giorni dopo il tentativo di suicidio, annota che quanto fu deposto nella bara, tra i fiori che amava, profusi da mani gentili, sembrava dormisse placido.[2]

Tra quanti frequentavano la casa di Ardigò in via Ippolito Nievo, e fu accanto al maestro sino alla fine vi era anche lo scultore Rino Veneziani che del filosofo ci lasca, oltre a due busti, anche un disegno sul letto di morte, pubblicato nella biografia di Ardigò del Marini.[3]

Proprio l’intimità dello scultore con il filosofo suggerisce l’ipotesi che lo stesso Veneziani possa essere l’autore anche della maschera funeraria in gesso conservata presso la Biblioteca. L’osservazione diretta della maschera suggerisce inoltre la possibilità, seconda l’abitudine dell’epoca di un successivo utilizzo della maschera per la realizzazione dei due busti oggi conservati in Biblioteca Teresiana.


[1] La maschera mortuaria è un calco spesso realizzato in cera o in gesso, che raffigura il volto di un defunto. Di origine antichissima, venivano spesso realizzate per i personaggi illustri, come ricordo o come base per realizzarne ritratti.

[2] Ardigò tento per la seconda volta il suicidio il 27 agosto del 1920. La sua agonia fu lunga. Il Marini che fu testimone oculare di quei tristi momenti racconta: Accorremmo quando il Filosofo, immerso nel sangue che gli fluttuava dalla ferita, era svenuto al suolo. Lo soccorremmo, lo sollevammo. L’affezionato Dottor Francklin Vivenza lo medicò. La ferita era lieve, molto il sangue perduto. Con terrore il Vivenza, scoperse che il femore era rotto. Era la fine di ogni speranza. Quando il Vegliardo riaprì gli occhi, mi disse con voce implorante: Lei che mi vuol bene, mi faccia morire, mi faccia morire – e ripeté la preghiera al Vivenza, a Veneziani (sic!) a Cestaro, a Mancino… Ma poi si acquietò, e passarono i giorni che erano di illusione, di speranza quasi. Quando giunse il Comm. Preda, egli lo baciò e parve rivivere...; morì il 15 settembre 1920 e tutta Mantova accorse a rendere il supremo tributo d’omaggio. Cfr. Marini G.F., Roberto Ardigò, Milano 1921, pp. 23-24.

[3] Marini G.F., Roberto Ardigò, Milano 1921, p. 22.

Barba di Ardigò

Cofanetto ottone dorato e cristallo, 1920, cm 10x15x10.

Mantova, Biblioteca Comunale Teresiana

 

La devozione che molti, amici, discepoli, estimatori, professori, politici, polemisti, uomini di cultura e gente semplice dimostravano a Roberto Ardigò è documentato, al di là di ogni forma di retorica e strumentalizzazione, dai registri di commemorazione conservati presso la Biblioteca Teresiana (relativo alle celebrazioni del settantesimo compleanno del maestro nel 1898) e dell’Archivio Storico del Comune di Mantova (due registri legati alle commemorazioni postume del 1921), dalla risonanza che la sua agonia e la sua morte sui giornali nazionali ed internazionali, dai telegrammi che giunsero da ogni dove per rendergli omaggio.[1]

L’immagine che ci viene restituita oggi è quella di un uomo che godeva di una notorietà immensa ed era da molti venerato. La “Voce di Mantova” che riportava giornalmente le condizioni del morente e le manifestazioni di affetto, il 16 settembre, dando la notizia della morte, così lo ricordava: Al Grande Credente e al Grande Veggente inviamo a nome di tutta la gioventù… l’estremo commosso, reverente riconoscente saluto. O giovani che avete dinanzi a voi un avvenire luminoso: ispiratevi all’opera del Grande ... E’ morto Roberto Ardigò. Scopritevi il capo, non lacrimate, ma venerate, non singhiozzate, ma imparate. Non molto diverso anche il tenore dei telegrammi che la stampa locale riporta fedelmente. Tra i molti messaggi citiamo quello di Filippo Turati perché ben rende l’aura di sacralità che avvolgeva la figura di Ardigò: Bacio commosso la cara salma del Maestro, dell’Amico, del Redentore, del Santo.[2]

Questa era il clima psicologico che circondava Ardigò al momento della sua morte e che spinse chi gli stava vicino a raccogliere un ciuffo della sua barba, quasi reliquia di uno spirito superiore, per conservarla in uno scrigno da porgere alla venerazione dei posteri. Si tratta in realtà di qualcosa di molto simile a quanto era accaduto ai Martiri di Belfiore, le cui spoglie vennero ritrovate nel 1867 e venerate dalla cittadinanza mantovana come vere e proprie reliquie di santi laici della patria.

Anche la documentazione archivistica relativa alla donazione Preda, riferendosi in particolare alla barba di Roberto Ardigò, utilizza esattamente il termine “reliquie”. Il ciuffo di barba è racchiuso in un elegante cofanetto originale in ottone dorato e cristallo, accompagnato da un biglietto che recita, in una calligrafia incerta e in un italiano approssimativo “La Barba del profesore Ardigò taliatta da vivo, che resiste si conserva per sempre”. L’incertezza ortografica del biglietto induce a supporre che a raccogliere la reliquia per conservarla e a consegnarla a Piero Preda sia stato uno degli affezionati domestici, Giovanni Battista Magri e Clotilde Barbierato,[3] che da molti anni ormai servivano il Professore.


[1] Vedi la “Voce di Mantova” del 31 agosto, 1, 16, 17, 18 settembre 1920.

[2] “Voce di Mantova” 17 settembre 1920.

[3]  Büttemeyer W., Lettere edite…cit., vol.II: 1895-1920, Frankfurt am Main, 2000, p. 447.

 

 


Note all'introduzione:

[1] Büttemeyer W., Roberto Ardigò. Lettere edite ed inedite, vol.I: 1850-1894, Frankfurt am Main, 1990, n.80, pp. 121-122, n. 406 pp. 383-384

[2] Martini G.F., Roberto Ardigò, Milano, 1921, p. 24

[3] Tratto dal verbale della Seduta consigliare del 27 luglio 1904 che delibera l’assegnazione della cittadinanza onoraria a Roberto Ardigò in ASCMN, XV.2.1/1908: 3971.4024/1904; BCMN, Fondo Ardigò, cart.16, fasc. VII, n.2.

[4] L’amministrazione comunale interprete dell’unanime consenso della Città, per voce del Prosindaco Ciro Bonollo, in una lettera datata 10.1.1918 gli offre ospitalità per mettersi al sicuro dai bombardamenti che tormentavano Padova. ASCMN XV.2.1/1918 n. 49.

[5] L’industriale Milanese Piero Preda (1879-1940) lesse delle difficili condizioni economiche del filosofo in un articolo di G. Marchesini pubblica sul  giornale “Il Secolo” il 20 febbraio 1918 e si attivò immediatamente, in forma anonima, per offrire all’anziano professore un sostegno economico che si protrasse sino alla morte cfr. G. Marchesini, Lo Spirito evangelico di Roberto Ardigò, Bologna 1919, p. 112, nota 30; Büttemeyer W., Lettere edite…cit., vol.II: 1895-1920, Frankfurt am Main, 2000, pp. 423 – 424, n. 913.

ardigò

Roberto Ardigò: percorso biografico attraverso immagini fotografiche storiche

Sfogliando l’opera di Ardigò, le pubblicazioni da lui curate come quelle a lui dedicate da discepoli e estimatori, colpisce il fatto che molto spesso il testo venga accompagnato da un ritratto fotografico del filosofo.

Che Ardigò tenesse a far conoscere i suoi ritratti fotografici, secondo una moda che era molto diffusa nella cultura borghese del tempo, trova conferma nella lettura del suo epistolario, dove sono molti i riferimenti a fotografie fatte realizzare, scelte, inviate e approvate dal filosofo che evidentemente curava questo aspetto speciale dell’apparire sociale del tempo.

Ricercando e raccogliendo tali immagini oggi risulta possibile ripercorrere per immagini la biografia di questo importante personaggio della cultura italiana, oggi in parte dimenticato, ma che tra i suoi contemporanei conobbe una vasta fama sia in Italia che oltre i confini nazionali.

di Chiara Pisani

Nascita ed educazione

Roberto Felice Ardigò nasce a Casteldidone (Cremona) il 28 gennaio 1828 da Ferdinando e Angela Tabaglio. Di origine agiate (nonno e zio erano ingegneri) la famiglia cade in povertà ed è costretta a migrare. Con i suoi fratelli, Giulio, Olimpia e Federico, a soli otto anni, nel 1836, Ardigò arriva a Mantova dove il padre ha trovato un modesto lavoro come custode. Qui Ardigò frequenta le scuole civiche dove si distingue subito per l’ingegno precoce e la ferma disciplina. Prosegue con profitto gli studi sino ad entrare nel 1845 nel Seminario vescovile, convinto nella sua fede e sostenuto soprattutto dalla madre, fervente cattolica. Di salute molto cagionevole, soffre di gravi disturbi gastrici e nervosi che lo accompagnano in fasi alterne per tutta la vita. Nel 1848 ottiene un posto gratuito nel seminario teologico di Milano, ma i disordini politici lo costringono a rientrare a Mantova. Pur continuando con determinazione gli studi in quei mesi di scontri risorgimentale Ardigò si lascia affascinare dalle istanze patriottiche e spinto da sincero spirito di lotta si reca a Goito per arruolarsi nell’esercito combattente di Guglielmo Pepe, ma alla viglia della battaglia, colto da febbre (soffriva di febbre terzana malarica) dovette rinunciare con grande rimpianto. Tornato a Mantova incontra Monsignor Luigi Martini rettore del Seminario che lo prende sotto la sua protezione accogliendolo in casa sua, dal 1849 al 1854, dopo la morte dei genitori. In quegli anni particolari, è in spirito vicino ai congiurati di Belfiore, in particolare a Don Grioli, e si dispera per il loro supplizio.

Immagine: Casa dove nacque Roberto Ardigò a Casteldidone (Cremona) - BCMn, Fondo Ardigò, B. 16 - Cartolina commemorativa per i 70 anni, 1898.

Sacerdozio e insegnamento

 

Il 22 giugno del 1851 Ardigò viene ordinato sacerdote, ma rimane legato al Seminario come prefetto (1850-54) e docente (1851-67). Nel 1854 si reca per pochi mesi a Vienna dove aveva ottenuto un posto di perfezionamento nell’istituto di teologia sublime di Sant’Agostino. Una grave crisi nervosa lo costringe tuttavia ad un rapido rientro a Mantova dove riprende l’insegnamento presso il Seminario frequentando nel frattempo amicizie e letture liberali, ma sotto la sorveglianza di Mons. Martini che lo guida su posizioni moderate.

Nel frattempo, con il 1856 inizia la sua attività di docente presso il Ginnasio - Liceo di Mantova. Qui, prima come supplente, poi come docente ordinario insegna religione, italiano, geografia e storia. Nel 1866 ottiene infine l’abilitazione a Padova per insegnare Filosofia. La passione per l’insegnamento soprattutto per la storia della filosofia, lo spinge a dedicarsi a quest’attività con tutte le sue forze, attirandosi tanto l’amore dei suoi scolari quanto le critiche da parte dei suoi superiori che non sempre condividevano i suoi metodi d’insegnamento. Per arrotondare il magro stipendio dal 1871 al 1881 accetta anche l’incarico di insegnamento di lingua tedesca presso l’Istituto Tecnico cittadino.

 

 Immagine: Ardigò nel giorno dell'ordinazione a sacerdote, 1851, in G.F. Marini, Roberto Ardigò, Mantova 1921.

Carriera ecclesiastica e formazione scientifica

Le ristrettezze economiche che caratterizzano tutta l’infanzia e la giovinezza di Ardigò sembrano trovare sollievo nel 1863 quando ottiene la nomina a canonico della Cattedrale. Ardigò procede rapidamente nella carriera ecclesiastica: già nel 1862 aveva ottenuto la nomina a consigliere del Tribunale ecclesiastico, per divenire poi negli anni 1865-1867 Fabbriciere della Cattedrale.

Nel 1864, spinto da motivazioni scientifiche e civiche, fonda con alcuni amici il Gabinetto di Lettura con annessa una Biblioteca che conobbe subito una rapidissima crescita. Questa biblioteca insieme alla Biblioteca Comunale ebbe una grande influenza sulla formazione scientifica di Ardigò che qui ebbe modo di consultare testi fondamentali per la fondazione del suo pensiero. Nel 1865 diviene socio della rifondata dell’Accademia Virgiliana (1858) per la quale in qualità di Consigliere propose nel 1868 un articolato progetto di riforma.

La prima pubblicazione dell’Ardigò risale a 1869, quando è chiamato a tenere una lezione su Pietro Pomponazzi al Teatro Scientifico di Mantova agli alunni del Liceo e ai membri dell’Accademia Virgiliana. Il discorso, pubblicato quello stesso anno, è il primo fondamentale passo verso la costruzione del pensiero positivista di Ardigò, pensiero che lo porterà l’anno dopo a pubblicare La Psicologia come scienza positiva, quindi a prendere posizione contro il dogma dell’infallibilità e infine a decidere di abbandonare il sacerdozio nel 1871 per poter professare le sue teorie con maggiore libertà e coscienza. Sono questi anni cruciali per il filosofo che più tardi confessa che proprio in quegli anni di crisi e di riflessione egli maturò nelle sue linee essenziali il sistema di pensiero che poi andrà lentamente svolgendo e presentando nei decenni a venire. A proposto del dipinto, qui fotografato, che lo ritrai in atteggiamento meditativo, egli ebbe a dire amava tenerlo nel suo studio perché gli ricordava il travaglio che passo dopo passo lo aveva portato al costruire il suo sistema filosofico.

 Immagine: Ardigò a 35 anni, nel 1853, in G. Marchesini, La vita e il pensiero di Roberto Ardigò, Milano, 1907

Impegno culturale e politico a Mantova

Svestito l’abito, Ardigò si dedica con rafforzata passione all’insegnamento, ai suoi studi filosofici e a un rinnovato impegno civile, sociale e politico. Dopo essere stato nel consiglio direttivo del Gabinetto di Lettura dal 1865-1866, 1868-1872, ne diviene Direttore unico dal 1872 sino al 1876, svolgendo un ruolo non secondario nella crescita culturale della città. In quegli stessi anni risulta molto attivo anche sul piano politico locale: è infatti eletto Consigliere Comunale, nelle liste democratiche dal 1871 al 1884 e diviene Consigliere provinciale negli anni 1879-1890. Si rinsalda in questi stessi anni l’amicizia con Paride Suzzara Verdi e Achille Sacchi, avvia un intenso carteggio con Pasquale Villari. Si dedica poi con determinazione e impegno al risanamento della città di Mantova proponendo, lui che discendeva da una famiglia di ingegneri e che coltivava una innata passione per la le scienze anche tecniche, un articolato progetto per difendere Mantova dalle frequenti inondazioni e risanarne l’aria. Il progetto, più volte pubblicato con continue migliorie tra il 1869 e il 1902, gli vale nel 1874 anche una benemerenza Ministero degli interni per impegno sulla sanità idraulica di Mantova. Il progetto non viene accettato e questo contribuisce, a partire dal 1884 a segnare l’allontanamento di Ardigò dalla scena politica.

Continua intanto a pubblicare accrescendo la sua fama come positivista. Comincia anche a coltivare l’ambizione di una cattedra universitaria: presenta infatti domanda in diverse città, fino ad ottenere, nel 1881 la nomina di professore di storia di filosofia a Padova.

 Immagine: Ardigò professore a Mantova dopo la svestizione, nel 1878 in G.F. Marini, Roberto Ardigò, Milano, 1921

Insegnamento a Padova (1881-1909)

Gli anni di insegnamento a Padova (1881-1909) lo vedono totalmente assorbito dall’insegnamento di Storia della Filosofia, Filosofia Morale, Lingua e Letteratura tedesca, Pedagogia e i suoi studi volti alla pubblicazione di un’opera articolata in più volumi titolata Opere Filosofiche. Collabora in quegli anni con numerose riviste accademiche: la “Rivista di filosofia scientifica” di Enrico Morselli, la “Rassegna Critica” di Andrea Angiulli e diversi periodici di pedagogia. Molto tempo egli lo spende leggendo ed informandosi. Segue da vicino il lavoro dei suoi discepoli e la loro carriera: legge attentamente i loro lavori, ne giudica con lucida severità la cultura, lo stile, il metodo e i risultati raggiunti. A Padova è amato e rispettato: diviene Preside della Facoltà di filosofia e lettere nel 1893, dal 1895 al 1897 e poi ancora nel 1900 per breve tempo. La sempre maggior stima che lo accompagna è confermata dalla sua nomina come membro in molte commissioni di concorsi universitari. Sono inoltre diversi gli onori cavallereschi e politici che gli vennero riconosciuti sebbene solo in tarda età: viene nominato cavaliere dell’ordine della Corona d’Italia nel 1869 e commendatore nel 1892, grande ufficiale nel 1901; ha il titolo di cavaliere dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro nel 1887, il titolo di ufficiale nel 1894, quello di commendatore nel 1908. Ottiene solo nel 1913 il titolo di Senatore. Ardigò non amava partecipare a congressi o convegni; non viaggiava per tenere conferenze.

Sino al 1888 continua a risiedere a Mantova. Nel 1888, con la sorella Olimpia e il Fratello Giulio, si trasferisce da Mantova definitivamente a Padova, città dalla quale difficilmente si muove, contribuendo anche per questo a creare intorno a lui l’immagine del pensatore operoso e solitario. Nel 1898 in occasione del suo settantesimo compleanno gli vengono tributate sentite celebrazioni soprattutto dalla ormai fitta schiera dei suoi alunni e discepoli.

 Immagine: Ardigò nel suo settantesimo compleanno, nel 1898, in G. Marchesini, La vita e il pensiero di Roberto Ardigò, Milano 1907

Primo Novecento: onori a Mantova

I tributi di stima verso l’ormai anziano professore si moltiplicano a partire dal primo Novecento: il Comune di Mantova, città a cui Ardigò si dichiara sempre profondamente legato, lo proclama cittadino onorario, gli dedica una via cittadina e una sala della Biblioteca Comunale (1904); l’Accademia Virgiliana lo proclama socio onorario (1905): l’Accademia dei Lincei lo nomina socio d’onore (1905); diviene membro onorario dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti (1906); è nominato socio corrispondente dell’Accademia di Scienze di Torino (1908); il Comune di Cremona lo dichiara cittadino onorario (1908); diviene socio onorario dell’Associazione razionalista di Ferrara (1909); la Società Nazionale “Dante Alighieri” lo nomina Socio perpetuo (1909). Altri grandi e piccoli attribuzioni d’onore e di stima lo coinvolgono anche per le celebrazioni del suo ottantesimo compleanno nel 1909. A Mantova in particolare la Società Magistrale Mantovana che dal 1904 si titolava con il suo nome, lancia una sottoscrizione per la realizzazione di una tarda celebrativa dedicata all’anziano professore da apporre sulla facciata del Liceo dove aveva a lungo insegnato. Nel 1909 Ardigò, vecchio e affaticato, chiede di essere messo a riposo e pone termine alla sua carriera di Docente per dedicarsi completamente agli studi filosofici. Pubblica quello stesso anno il decimo volume delle sue Opere Filosofiche.

 Immagine: Ardigò nel suo ottantesimo compleanno, nel 1909, in Venti capi del "Buch der Lieder" di E. Heine, Bergamo 1909

Gli studi filosofici

L’anziano ma lucidissimo professore, finalmente libero dai gravosi impegni scolastici può dedicarsi ai suoi studi, benché affaticato e tormentato da disturbi e acciacchi e soprattutto dalle preoccupazioni economiche.

La pensione è infatti poverissima e l’incarico ministeriale che i suoi discepoli riescono con fatica a fargli avere, non lo solleva dall’ansia di non poter far fronte alle spese, nonostante una condotta di vita sempre molto modesta e attenta.

La sua salute progressivamente viene meno. Gli occhi si affaticano facilmente, l’udito va spegnendosi, le gambe non reggono. Ardigò si consola tra i suoi libri, studiando e riflettendo, trattenendo una fedele corrispondenza coi suoi discepoli più affezionati: Giovanni Marchesini, Giovanni Dandolo, Giuseppe Tarozzi, Erminio Troilo, Cesare Ranzoli e gli amici più fidati, come Pasquale Villari.

Lavora con fatica alla pubblicazione dell’XI e ultimo volume delle sue Opere Filosofiche. Nel 1915 lo scoppio della Prima Guerra mondiale lo vede animato da un solido patriottismo che gli fa rispondere a chi gli chiede che posizione avesse: Bruttisima cosa la Guerra; ma, se necessaria, come nel presente nostro caso, non esitare a farla, e fiducia nell’esito desiderato.

Nel 1917, sempre più stanco e affaticato, mentre Padova è bersagliata dai bombardamenti particolarmente duri tra dicembre 1917 e  gennaio 1918, Ardigò detta le disposizioni funerarie chiedendo di essere sepolto a Padova accanto ai fratelli Olimpia e Giulio. Scrive anche il proprio epitaffio nel quale dichiarava la sua vita dedicata interamente alla scienza alla scuola.

 Immagine: Ardigò nel 1912, in G. Marchesini, Lo spirito evangelico di Roberto Ardigò, Bologna 1919

Ritratto del vecchio professore Ardigò

Il ritratto del vecchio professore prende vita nelle parole del suo stesso epistolario e nelle descrizioni affezionate dei suoi discepoli che mostrano l’immagine di un anziano signore che amava fumare la pipa, leggere e scrivere nel suo studio circondato dai libri oppure passeggiare in solitudine per le vie cittadine e nei campi, riflettendo silenziosamente. Un ritratto molto simile, come sottolineano più volte i suoi discepoli, all’immagine di filosofo che lo stesso Ardigò tracciava nel 1869: E’ il pensatore un uomo che ama la solitudine. Ma non perché sia privo di sentimenti benevoli, chè anzi in lui si trovano generosi… e nemmeno perché non apprezzi la stima e la lode degli uomini… nobilmente altero nella sua oscurità, solo egli rinuncia sdegnosamente all’onore che si acquista con le umili arti. Egli ama la solitudine, perché di nulla più si compiace, che nella vita del pensiero. Solo co’ suoi libri, si riflettono nel suo spirito, come in ispecchio, le idee dei tempi passati. Solo in mezzo ai campi, la natura ne tocca i sensi colla magia delle sue voci… e il pensiero rampolla più vigoroso nella sua mente, fatta quasi profetica. Nessuno è testimonio del lavoro che in essa ferve….

Arnaldo Fraccaroli ricorda l’istintivo senso di rispetto che il vecchio professore incuteva passando per le vie della città universitaria anche a chi non lo conosceva: Avvolto a più giri nell’ampio mantello scuro, il cappello calcato sino agli occhi, la bianca barba mosaica fluente sotto la pipa che lo incensava di spire azzurrine, Roberto Ardigò si avanzava tranquillo, attraversava la sala bianca, e andava sedersi nella sala rossa, al tavolo classico dei professori, nel posto d’angolo. Il tavolo era quello del Caffè Pedrocchi a Padova…. Così come ricorda che la sua grande passione era la pipa. Per molti anni egli ha fumato dai diciassette ai diciotto sigari al giorno. Poi s’è votato alla pipa, e gli amici e gli allievi che ne sapevano la passione gli mandavano di quando in quando qualche nuovo esemplare. … Egli aveva una nidiata eccezionale di allievi: una ventina di professori, parecchi deputati, alcuni senatori, che furono senatori prima di lui: gli allievi prima del maestro…

 Immagine: Ardigò nel 1917-1918 in W. Buttemeyer, Roberto Ardigò. Lettere edite ed inedite, voll. I-II, Frankfurt am Main, 2000

Tentato suicido e ritorno a Mantova

Nei primi giorni di febbraio 1918 la precaria situazione emotiva di Ardigò precipita. Padova, divenuta una città sul fronte e un nodo strategico fondamentale dopo la disfatta di Caporetto, è tormentata dai bombardamenti aerei soprattutto notturni che scuotono la città e i nervi della popolazione. La Giunta Municipale di Mantova, preoccupata dell’incolumità del vecchio Professore lo invita a rientrare a Mantova offrendogli piena ospitalità. Lui rifiuta riferendo che la salute non gli permette di muoversi e che comunque non temeva la morte. In realtà affaticato, malato, senza mezzi, incapace di lavorare, scosso nei nervi il filosofo il 6 febbraio 1918 tenta suicidio con un colpo al collo autoinfertosi con un grosso temperino. Subito soccorso e medicato viene suturato presso l’ospedale di Padova e quindi rimandato a casa per una delicata convalescenza. Amici e discepoli si attivano prontamente affinchè ad Ardigò vengano assicurate tutte le cure necessarie e si dispone il trasferimento urgente del malato a Mantova. Il Comune di Mantova organizza in gran fretta il trasporto in autolettiga con medico a bordo e trova per lui, grazie alla generosità della famiglia Posio, una adeguata sistemazione in una casa con giardino in via Principe Amedeo. Ardigò lentamente si riprende sebbene lo stato d salute rimanga sempre precario. Nonostante le sofferenze dal maggio del 1918 ricomincia a scrivere sino a pubblicare due nuovi saggi: Natura Naturans e L’idealismo e la scienza. Le condizioni di salute, i dolori, le crisi nervose tuttavia si succedono richiedendo la presenza giornaliera dell’Ufficiale Medico del Comune Francklin Vivenza. Nel dicembre 1919 Ardigò rinuncia definitivamente all’idea di tornare a Padova e cerca a Mantova, città che ha sempre profondamente amato, una nuova sistemazione che trova nella casa che era stata di Ippolito Nievo.

 Immagine: Ardigò nel giardino di casa Posio a Mantova, primavera 1919, in G.F. Marini, Roberto Ardigò, Milano 1921

Permanenza a casa Nievo a Mantova

Trasferitosi a casa Nievo Ardigò sembra trovare una nuova pace: seppur a fatica riesce a lavorare. E’ circondato dalle cure di pochi amici quali Vittorio Osimo, Giovanni Marchesini e l’industriale milanese Piero Preda che lo soccorre con un sussidio avendo saputo delle sue gravi difficoltà economiche. Gli forniscono assistenza e amicizia anche Elleno Pezzi e il Dott. Vivenza.

Nella sua nuova dimora Ardigò ricrea il suo amato studio di Padova che il noto giornalista e scrittore Arnaldo Fraccaroli così descriveva in una visita di qualche anno prima: Il filosofo mi era venuto incontro avvolto in una lunga veste da camera, una specie di camice grigio a bollini chiari, con in capo un berretto di pelo. Era la sua tenuta di lavoro: e così con la snella persona che fluttuava fra le pieghe dell’ampia veste, e la lunga barba, e le mani scarne, fra queste pareti di libri e di quadri, egli ricordava qualche vecchia figura di alchimisti… C’era sopra di noi, nella parete di mezzo, un grande ritratto di un giovine sacerdote, col viso sollevato in alto, e gli occhi naviganti all’infinito, in una indicibile espressione di tristezza. – “Il suo ritratto professore?” – “Sì e lo tengo dinanzi a me perché mi ricorda il momento acuto della mia crisi, quando il dubbio si insinuava in me, e mi aveva preso. Avevo allora trentacinque anni, ed ero ancora sacerdote. La conversione avvenne a quaranta.” Era il ricordo del grande periodo che decise della sua vita, e ne parlava con quel candore con cui diceva ogni cosa. Delle lotte di allora e di poi, nessun accenno. Dello stesso ritratto parla anche Alessandro Luzio  che nel raccontare dei numerosi colloqui che ebbe con il vecchio filosofo nello studio di Mantova ricorda il bel ritratto che lo effigiava in tutto il candore di giovane sacerdote entusiasta.

 Immagine: Ardigò nel suo studio a casa nievo, 1920, in "Illustrazione Italiana"

Morte di Roberto Ardigò

Il 27 agosto 1920 il filosofo, indicibilmente indebolito nel fisico e nella mente, tenta nuovamente il suicidio ancora una volta colpendosi con una lama alla gola. Gian Francesco Marini che fu testimone oculare di quei tristi momenti racconta: Accorremmo quando il Filosofo, immerso nel sangue che gli fluttuava dalla ferita, era svenuto al suolo. Lo soccorremmo, lo sollevammo. L’affezionato Dottor Francklin Vivenza lo medicò. La ferita era lieve, molto il sangue perduto. Con terrore il Vivenza, scoperse che il femore era rotto. Era la fine di ogni speranza. Quando il Vegliardo riaprì gli occhi, mi disse con voce implorante: Lei che mi vuol bene, mi faccia morire, mi faccia morire – e ripeté la preghiera al Vivenza, a Veneziani, a Cestaro, a Mancino… Ma poi si acquietò, e passarono i giorni che erano di illusione, di speranza quasi. Quando giunse il Comm. Preda, egli lo baciò e parve rivivere...; la sua agonia fu lunga: morì il 15 settembre 1920.

Tutta Mantova seguì con trepidazione le condizioni del Maestro. Molti si informarono della sua salute e inviarono telegrammi riportati fedelmente dai quotidiani locali. Numerosi gli resero onore. Il regio Commissario Cian appena venuto a conoscenza della notizia fece affiggere sui muri della città la seguente necrologia: “Un faro altissimo di luce ideale, di indomita scienza rivelatrice, che ha rischiarato le vie del pensiero umano nella tremenda ascesa verso le conquiste del vero si è spento. Oggi alle ore 10 nella sua Mantova diletta è morto ROBERTO ARDIGO’, il grande filosofo, il poderoso infaticato maestro…”

 Immagine: Piero Preda davanti alla bara di Ardigò, Mantova, 16 settembre 1920, in G. Marini, Roberto Ardigò, Milano 1921

Funerale di Roberto Ardigò - 18 settembre 1920

I funerali si svolgono il sabato 18 settembre 1920 alle 8 della mattina, secondo la volontà di Ardigò stesso che da tempo aveva lasciato severe disposizioni in merito: Morendo è mio fermo desiderio di essere trasportato direttamente al cimitero dei poveri alla mattina per tempo con il carro dei poveri…

I suoi amici più fedeli si impegnano affinchè siano evitati discorsi e ogni manifestazione ufficiale, tuttavia la cronaca riportata da un gran numero di giornali nazionali e internazionali informa che … una folla imponente, composta di amici ed ammiratori del grande filosofo, si è data convegno a Mantova per esternare il reverente ed estremo saluto alla salma di Roberto Ardigò. Gli amici, i discepoli, gli studenti dell’Università di Padova, trasportano di peso la bara del defunto, che viene poi adagiata su un semplice carro di terza classe adorno di numerose corone. Il corteo si muove dalla casa dell’Estinto, attraversando lentamente la città fra due fitte ali di popolo riverente. I negozi sono chiusi e portano striscioni neri a lutto. Tutte le finestre delle vie nelle quali procede il corteo, sono affollatissime. Numerose le personalità e le autorità che seguono il carro che è preceduto dal Gonfalone del Comune di Mantova. Nel piazzarle dei giardini pubblici il corteo ha un momento di sosta: la folla fa ala, mentre il triste convoglio passa davanti a una selva di bandiere che si abbassano in segno di saluto. Nessun discorso è stato pronunciato giusta la volontà dell’Estinto. La gente sfolla lentamente mentre il corteo procede verso il cimitero, seguito dai soli famigliari.

L’imponente tributo di affetto dato da Mantova all’illustre cittadino, è stata una tale manifestazione di unanime cordoglio che rimarrà indimenticabile per tutti coloro che ebbero modo di assistervi. Si calcola che oltre 30.000 persone assistessero ai funerali  (“Lavoratore” – Trieste, 19 settembre 1920).

 Immagine: Il funerale di Ardigò, Mantova, 18 settembre 1920 - BCMn, Fondo Ardigò, fasc. 16

In memoria di Roberto Ardigò

In ossequio a quanto desiderato dal filosofo, la sua salma trovò riposo in un semplice loculo messo a disposizione dall’Amministrazione comunale nel cimitero monumentale di Mantova. Sulla semplice lastra di marmo viene apposto il seguente epitaffio dettato in vita da Ardigò: Qui giace Roberto Ardigò, nato il 28 gennaio 1828, morto il 15 settembre 1920, dopo una vita interamente dedicata alla scienza alla scuola. L’anno seguente, il memoria di Ardigò, venne organizzata un’imponente commemorazione che prevedeva la lettura di un elogio davanti alla tomba, la collocazione di una targa votiva in bronzo con scolpite le parole “A Roberto Ardigò – I Maestri d’Italia –Ottobre MCMXXI”, la consegna ai rappresentanti del Comune due album contenenti le firme di tutti i maestri italiani che aderirono e contribuirono all’omaggio alla memoria del filosofo. Le celebrazioni proseguirono poi presso il Teatro Scientifico con ulteriori commemorazioni.

 

Immagine: Tomba di Ardigò - Cimitero Monumentale di Mantova, loculo n. 86, fila III, pseudo porticato sinistro lato sud.

Bibliografia

Giovanni Marchesini, La vita e il pensiero di Roberto Ardigò, Milano 1907;

Gian Francesco Marini, Roberto Ardigò, Milano 1921;

Arnaldo Fraccaroli, Celebrità e quasi, Milano 1923, pp. 99-104; 

Giovanni Landucci, Roberto Ardigò: fra tradizione nazionale e cultura scientifica europea in “Atti e Memorie”, nuova serie, LVIII, 1990, pp. 57-88;

W. Büttemeyer, Roberto Ardigò. Lettere edite ed inedite, voll.I-II, Frankfurt am Main. 2000.

Le opere

Opere​

Discorso su Pietro Pomponazzi, 1869;

La psicologia come scienza positiva, 1870;

Discorso sulla difesa dalla inondazione, 1874;

La formazione naturale nel fatto del sistema solare, 1877;

La morale dei positivisti, 1879 (ripubblicata nelle sue Opere filosofiche in due volumi: La morale dei positivisti, 1885, e Sociologia, 1886);

Il fatto psicologico della percezione, 1882;

Il vero, 1891;

La scienza della educazione, 1893 (4 ed. 1916);

La ragione, 1894;

L'unità della coscienza, 1898;

La nuova filosofia dei valori, 1907;

Natura naturans, 1918;

L’idealismo e la Scienza di Roberto Ardigò, 1919.

Opere Filosofiche (in XI volumi)

1882 (3 ed. 1929). Opere filosofiche, vol. 1. Mantova: Colli.

1884 (3 ed. 1908). Opere filosofiche, vol. 2. Padova: Draghi.

1885 (4 ed. 1908). Opere filosofiche, vol. 3. Padova: Draghi.

1886 (3 ed. 1908). Opere filosofiche, vol. 4. Padova: Draghi.

1891 (3 ed. 1913). Opere filosofiche, vol. 5. Padova: Draghi.

1894 (2 ed. 1907). Opere filosofiche, vol. 6. Padova: Draghi.

1998 (2 ed. 1913). Opere filosofiche, vol. 7. Padova: Draghi.

  1. Opere filosofiche, vol. 8. Padova: Draghi.

1903-1906. Opere filosofiche, vol. 9. Padova: Draghi.

1907-1909. Opere filosofiche, vol. 10. Padova: Draghi.

1912-1918. Opere filosofiche, vol. 11. Padova: Draghi.

Altre opere

Venti capi del “Buch der Lieder” di E. Heine tradotti da Roberto Ardigò, 1909

Scritti vari, 1922 a cura di Giovanni Marchesini