La Biblioteca Teresiana ha recentemente ricevuto in dono una lettera, datata 12 aprile 1861, scritta dal politico Carlo Arrivabene Valenti Gonzaga (Mantova 1820-1874) e indirizzata ad un non precisato signor “avvocato”.
Tema centrale della missiva è la notizia dell’avvenuta morte al largo dell’isola di Ischia di Ippolito Nievo.
Nato da padre mantovano, Ippolito Nievo (1831-1861) fu scrittore, poeta, giornalista. Vissuto fra il Veneto, il Friuli e la Lombardia, trascorse diversi anni della giovinezza a Mantova e nel Mantovano, in particolare nella tenuta di famiglia a Fossato di Rodigo, durante i quali cominciò a scrivere articoli per i periodici locali e a comporre versi. Scrisse le opere maggiori negli anni seguenti, raggiungendo l’apice con il romanzo Le Confessioni di un italiano, il cui manoscritto autografo, depositato dagli eredi nel 1913, è custodito in Teresiana da oltre un secolo (Ms. 1029, in tre volumi).
Nievo fu anche uomo di convinti valori patriottici, che lo portarono a partecipare ai moti insurrezionali di Mantova del 1848 e a prendere parte alla spedizione dei Mille di Garibaldi, arrivando a ricoprire il ruolo di colonnello. Morì nel naufragio del piroscafo su cui viaggiava alla volta di Napoli, nella notte tra il 4 e il 5 marzo del 1861, mentre attendeva ai suoi compiti di amministratore contabile per l’impresa garibaldina.
La lettera di recente donazione va ad aggiungersi ai manoscritti e ai documenti relativi a Ippolito Nievo già conservati in Biblioteca: lettere di Ippolito, corrispondenza con l’amico Attilio Magri e con l’amata Matilde Ferrari, opere letterarie autografe, che sono pervenute in deposito per volontà degli eredi Nievo nel 1913 e nel 1929 oppure acquistate o donate dai discendenti delle famiglie Magri e Ferrari tra il 1923 e il 1937.
Questa breve lettera, ora custodita in Biblioteca, ci restituisce il momento esatto in cui giunse nel Mantovano, a Bozzolo, la notizia tanto attesa dopo il tragico naufragio, ovvero la scomparsa dello scrittore, definito dallo stesso Carlo Arrivabene “uno dei più egregi giovani che avesse l’Italia”.