Trasferitosi a casa Nievo Ardigò sembra trovare una nuova pace: seppur a fatica riesce a lavorare. E’ circondato dalle cure di pochi amici quali Vittorio Osimo, Giovanni Marchesini e l’industriale milanese Piero Preda che lo soccorre con un sussidio avendo saputo delle sue gravi difficoltà economiche. Gli forniscono assistenza e amicizia anche Elleno Pezzi e il Dott. Vivenza.
Nella sua nuova dimora Ardigò ricrea il suo amato studio di Padova che il noto giornalista e scrittore Arnaldo Fraccaroli così descriveva in una visita di qualche anno prima: Il filosofo mi era venuto incontro avvolto in una lunga veste da camera, una specie di camice grigio a bollini chiari, con in capo un berretto di pelo. Era la sua tenuta di lavoro: e così con la snella persona che fluttuava fra le pieghe dell’ampia veste, e la lunga barba, e le mani scarne, fra queste pareti di libri e di quadri, egli ricordava qualche vecchia figura di alchimisti… C’era sopra di noi, nella parete di mezzo, un grande ritratto di un giovine sacerdote, col viso sollevato in alto, e gli occhi naviganti all’infinito, in una indicibile espressione di tristezza. – “Il suo ritratto professore?” – “Sì e lo tengo dinanzi a me perché mi ricorda il momento acuto della mia crisi, quando il dubbio si insinuava in me, e mi aveva preso. Avevo allora trentacinque anni, ed ero ancora sacerdote. La conversione avvenne a quaranta.” Era il ricordo del grande periodo che decise della sua vita, e ne parlava con quel candore con cui diceva ogni cosa. Delle lotte di allora e di poi, nessun accenno. Dello stesso ritratto parla anche Alessandro Luzio che nel raccontare dei numerosi colloqui che ebbe con il vecchio filosofo nello studio di Mantova ricorda il bel ritratto che lo effigiava in tutto il candore di giovane sacerdote entusiasta.
Immagine: Ardigò nel suo studio a casa nievo, 1920, in "Illustrazione Italiana"