Rino B. Veneziani (notizie 1900-1925)
Gesso patinato bronzo, 1921 ca., cm 66x20
Mantova, Biblioteca Comunale Teresiana
La testa in gesso lavorato a bronzo di Ardigò è da identificarsi con il secondo ritratto in gesso donato dall’industriale milanese Pero Preda nel 1929 alla Biblioteca di Mantova. Piero Preda fu il generoso benefattore che sollevò le difficili condizioni economiche di Ardigò negli ultimi mesi della sua vita. Aiutò Giovanni Marchesini e Vittorio Osimo a rendere più tranquilla la vita del filosofo che nel 1919 aveva trovato rifugio a Mantova.[1] La benevola vicinanza di Piero Preda è documentata anche nell’epistolario del vecchio maestro che a lui si rivolge ringraziandolo per il sussidio solo poche settimane prima della morte.[2]
Fu probabilmente in una delle occasioni in cui Preda fu a Mantova, prima o dopo la morte di Ardigò, che l’industriale avrà avuto modo di conoscere lo scultore mantovano Rino Veneziani il cui nome è citato da Gian Francesco Marini, maestro elementare e fotografo dilettante, tra quelli degli intimi che portarono conforto all’anziano filosofo.[3]
Le caratteristiche stilistiche della testa ardigoiana della Biblioteca appare in effetti molto vicina a quella pubblicata su “Procellaria” del maggio 1920, per quanto si possa cogliere dal solo raffronto fotografico con quest’opera andata perduta. Difficile dire se si tratti, come sembra, in entrambi i casi di un ritratto dal vivo o di una rappresentazione derivata da fotografia da parte di un artista che conosceva molto bene la persona ritratta.
Nella testa in esame in ogni caso il volto del filosofo appare smagrito e scavato, la bocca come sempre coperta dai caratteristici baffi imponenti e dalla lunga barba. Ma quello che colpisce ancora una volta è la forza dello sguardo del maestro che l’artista rende assai bene. Queste stesse caratteristiche del resto le ritroviamo anche in alcune descrizioni del filosofo scritte da persone che lo conoscevano molto bene.
Gian Francesco Marini, nella sua biografia di Ardigò, che conobbe personalmente durante l’ultimo soggiorno mantovano prima della sua morte scrive: Ardigò aveva una testa leonardesca dalle linee scultoree cui dava un imponente rilievo la opulenza di una fluida candida barba. E quel volto, che parlava anche quando le labbra tacevano e gli occhi non brillavano di faville luminose, si animava tutto di un incanto maliardo quando la bocca apriva e gli occhi muovevano lucidi e rapidi nella fonda occhiaia.[4]
Sempre nel 1921 un altro dei suoi discepoli, Giuseppe Zamboni, che lo ricordava dai tempi dell’Università a Padova, così lo descrive: Nella faccia dell’Ardigò due cose dominavano: la barba fluente, bianca; e l’occhio, infossato quasi nella caverna dell’orbita protetta dalla tettoia di folte sopracciglia bianche; anzi, piuttosto che l’occhio, si notava la fissa direzione dello sguardo verso l’infinito sempre più lontano.[5]
[1] G. Marchesini, Lo Spirito evangelico di Roberto Ardigò, Bologna 1919, nota 30, p. 112.
[2] L’ultima lettera di Ardigò a Preda è infatti datata 30 luglio 1920, cfr. Büttemeyer W., Lettere edite…cit., vol.II: 1895-1920, Frankfurt am Main, 2000,, n. 966, p. 454.
[3] Gian Francesco Marini fu introdotto da Vittorio Osimo in casa d Ardigò e fu probabilmente lui l’ultimo a fotografarlo. Cfr. Marini G.F., Roberto Ardigò, Milano 1921, p. 22; Butte, nn. 951, 961. Il nome di Marini e di Rino Veneziani compaiono più volte anche sulla stampa locale come coloro che furono accanto ad Ardigò nella triste vicenda della sua morte: “La Voce di Mantova”, 31 agosto, 17 settembre 1920.
[4] Marini G.F., Roberto Ardigò, Milano 1921, p. 5.
[5] Zamboni G., Il valore scientifico del positivismo di Roberto Ardigò e della sua conversione. Appunti critici, Verona 1921, p.5. Il veronese Giuseppe Zamboni (1875-1950) fu filosofo e accademico in gnoseologia. Studiò a Padova laureandosi nel 1897 in Lettere e nel 1900 in Filosofia. Fu allievo di Ardigò del quale studiò appassionatamente le opere prendendo però successivamente posizioni decisamente anti-positivistiche.