Cofanetto ottone dorato e cristallo, 1920, cm 10x15x10.
Mantova, Biblioteca Comunale Teresiana
La devozione che molti, amici, discepoli, estimatori, professori, politici, polemisti, uomini di cultura e gente semplice dimostravano a Roberto Ardigò è documentato, al di là di ogni forma di retorica e strumentalizzazione, dai registri di commemorazione conservati presso la Biblioteca Teresiana (relativo alle celebrazioni del settantesimo compleanno del maestro nel 1898) e dell’Archivio Storico del Comune di Mantova (due registri legati alle commemorazioni postume del 1921), dalla risonanza che la sua agonia e la sua morte sui giornali nazionali ed internazionali, dai telegrammi che giunsero da ogni dove per rendergli omaggio.[1]
L’immagine che ci viene restituita oggi è quella di un uomo che godeva di una notorietà immensa ed era da molti venerato. La “Voce di Mantova” che riportava giornalmente le condizioni del morente e le manifestazioni di affetto, il 16 settembre, dando la notizia della morte, così lo ricordava: Al Grande Credente e al Grande Veggente inviamo a nome di tutta la gioventù… l’estremo commosso, reverente riconoscente saluto. O giovani che avete dinanzi a voi un avvenire luminoso: ispiratevi all’opera del Grande ... E’ morto Roberto Ardigò. Scopritevi il capo, non lacrimate, ma venerate, non singhiozzate, ma imparate. Non molto diverso anche il tenore dei telegrammi che la stampa locale riporta fedelmente. Tra i molti messaggi citiamo quello di Filippo Turati perché ben rende l’aura di sacralità che avvolgeva la figura di Ardigò: Bacio commosso la cara salma del Maestro, dell’Amico, del Redentore, del Santo.[2]
Questa era il clima psicologico che circondava Ardigò al momento della sua morte e che spinse chi gli stava vicino a raccogliere un ciuffo della sua barba, quasi reliquia di uno spirito superiore, per conservarla in uno scrigno da porgere alla venerazione dei posteri. Si tratta in realtà di qualcosa di molto simile a quanto era accaduto ai Martiri di Belfiore, le cui spoglie vennero ritrovate nel 1867 e venerate dalla cittadinanza mantovana come vere e proprie reliquie di santi laici della patria.
Anche la documentazione archivistica relativa alla donazione Preda, riferendosi in particolare alla barba di Roberto Ardigò, utilizza esattamente il termine “reliquie”. Il ciuffo di barba è racchiuso in un elegante cofanetto originale in ottone dorato e cristallo, accompagnato da un biglietto che recita, in una calligrafia incerta e in un italiano approssimativo “La Barba del profesore Ardigò taliatta da vivo, che resiste si conserva per sempre”. L’incertezza ortografica del biglietto induce a supporre che a raccogliere la reliquia per conservarla e a consegnarla a Piero Preda sia stato uno degli affezionati domestici, Giovanni Battista Magri e Clotilde Barbierato,[3] che da molti anni ormai servivano il Professore.
[1] Vedi la “Voce di Mantova” del 31 agosto, 1, 16, 17, 18 settembre 1920.
[2] “Voce di Mantova” 17 settembre 1920.
[3] Büttemeyer W., Lettere edite…cit., vol.II: 1895-1920, Frankfurt am Main, 2000, p. 447.