Il 27 agosto 1920 il filosofo, indicibilmente indebolito nel fisico e nella mente, tenta nuovamente il suicidio ancora una volta colpendosi con una lama alla gola. Gian Francesco Marini che fu testimone oculare di quei tristi momenti racconta: Accorremmo quando il Filosofo, immerso nel sangue che gli fluttuava dalla ferita, era svenuto al suolo. Lo soccorremmo, lo sollevammo. L’affezionato Dottor Francklin Vivenza lo medicò. La ferita era lieve, molto il sangue perduto. Con terrore il Vivenza, scoperse che il femore era rotto. Era la fine di ogni speranza. Quando il Vegliardo riaprì gli occhi, mi disse con voce implorante: Lei che mi vuol bene, mi faccia morire, mi faccia morire – e ripeté la preghiera al Vivenza, a Veneziani, a Cestaro, a Mancino… Ma poi si acquietò, e passarono i giorni che erano di illusione, di speranza quasi. Quando giunse il Comm. Preda, egli lo baciò e parve rivivere...; la sua agonia fu lunga: morì il 15 settembre 1920.
Tutta Mantova seguì con trepidazione le condizioni del Maestro. Molti si informarono della sua salute e inviarono telegrammi riportati fedelmente dai quotidiani locali. Numerosi gli resero onore. Il regio Commissario Cian appena venuto a conoscenza della notizia fece affiggere sui muri della città la seguente necrologia: “Un faro altissimo di luce ideale, di indomita scienza rivelatrice, che ha rischiarato le vie del pensiero umano nella tremenda ascesa verso le conquiste del vero si è spento. Oggi alle ore 10 nella sua Mantova diletta è morto ROBERTO ARDIGO’, il grande filosofo, il poderoso infaticato maestro…”
Immagine: Piero Preda davanti alla bara di Ardigò, Mantova, 16 settembre 1920, in G. Marini, Roberto Ardigò, Milano 1921