Nulla temo perché nulla spero
Rino Veneziani (notizie 1900-1925)
Gesso, 1921, cm 68 x 47
Firmato e datato in basso a destra B.R. Veneziani 1921
Mantova, Biblioteca Comunale Teresiana
Il grande busto in gesso raffigura Ardigò in età ormai molto avanzata. Tutta la forza del ritratto sembra concentrarsi negli occhi infossati, coronati dalle sopracciglia folte ed espressive, che ben restituiscono l’intensità dello sguardo del filosofo, documentato anche dai suoi ritratti fotografici. Contribuisce a suggerire un senso di energia vitale anche la leggera rotazione laterale del busto e della testa, che anima la vibrazione chiaroscurale. Al contrario la lunga barba e il busto appaiono modellati in maniera meno accurata, forse per una precisa scelta artistica volata a concentrare l’attenzione dello spettatore proprio sul volto. Completa l’opera la presenza, in basso, sopra un festone di fiori, di un motto inciso Nulla temo perché nulla spero; sul fianco destro infine si trova la firma “B.R. Veneziani 1921”.
Si tratta dello scultore mantovano Rino B. Veneziani, in attività nei primi decenni del ‘900 a Mantova e provincia e nei limitrofi territori veneti.[1] Veneziani conosceva personalmente Ardigò, il suo nome compare infatti tra quelli che furono in amicizia assidua con l’anziano maestro nei suoi ultimi mesi di vita.[2]
Tra il 1920 e il 1921 sono documentate altre due opere di Veneziani, oggi di collocazione ignota, che ritraevano Ardigò: una testa modellata in gesso o terracotta pubblicata sulla rivista “Procellaria” del maggio 1920 e un disegno a sanguigna sempre della testa di Ardigò presentato alla mostra artistica che si tenne nella sede della Famiglia Artistica Mantovana, in piazza Castello, nel settembre del 1921.[3] Va ricordato che proprio nel settembre del 1921 a Mantova furono organizzate importanti celebrazioni in ricordo della morte del filosofo e con tutta probabilità il busto venne realizzato in quell’occasione.
Molto significativa è la presenza della scritta Nulla temo perché nulla Spero, motto caro al vecchio maestro. Giovanni Marchesini, amico e allievo di Ardigò, ricorda infatti che queste parole erano il suo motto di battaglia, la formula della sua purezza e indipendenza[4]… con la quale egli soleva compiacersi della propria integrità ed indipendenza.[5]
Il busto in gesso quindi offre dunque insieme sia un ritratto fisiognomico del vecchio maestro sia, nel motto che lo accompagna, un ritratto interiore dell’uomo che di sé affermava: … sono positivista, sono repubblicano, sono socialista: ma nelle questioni speciali mi riservo piena libertà di pensare a modo mio.[6]
La scritta si accompagna ad una cornice di fiori che orna la base del busto. Si tratta certo di un motivo caratteristico del linguaggio liberty, ma va avanzata anche l’ipotesi suggestiva che l’inserimento di questo elemento fiorito sia il riferimento elegante ad un interesse particolare e poco nota del filosofo, il suo amore per i fiori e per i giardini. Questo interesse lo aveva portato addirittura a trasformare il sassoso cortiletto della sua casa in Mantova[7] in un bel giardino, opera in gran parte della sua stessa mano, dove egli aveva raccolte e con arte mirabile disposte le più svariate piante. [8]
Il busto, recentemente restaurato viene esposto al pubblico per la prima volta dopo molti decenni. Il ritratto è giunto in Biblioteca Teresiana nel 1929 come dono dell’imprenditore milanese Piero Preda che si era interessato del filosofo a seguito della pubblicazione di un articolo di Giovanni Marchesini, che il 20 febbraio 1818 (pochi giorni dopo il primo tentativo di suicidio di Ardigò) pubblicava su “Il Secolo” di Milano un articolo titolato La povertà di Roberto Ardigò nel quale denunciava la condizione di indigenza dell’anziano maestro.[9] La situazione attirò l’attenzione dell’industriale milanese che, inizialmente in modo anonimo, si fece carico di inviare ad Ardigò un prezioso aiuto economico che fu di sollievo negli ultimi mesi di vita del maestro.[10]
Dopo la scomparsa del filosofo, nel 1929, Preda contatta l’Amministrazione Comunale di Mantova per donare alcuni cimeli che egli conserva in memoria dell’Ardigò, certo che il maestro sarebbe stato felice che tali oggetti potessero tornare alla sua Mantova diletta.[11] L’Amministrazione accetta prontamente, pagando tutte le spese di trasporto. Cesare Ferrariri, direttore della Biblioteca, nel dare conto di detta consegna, propone la realizzazione di uno scaffaletto (con targa portante il nome del donatore) …per riporveli e tenerveli decorosamente, fino a che l’ampiamento della Biblioteca permettesse di destinare tutta una sala alla memoria del filosofo.[12]
[1] “Procellaria”, maggio 1920, pp. 8-9; Sartori A., Artisti a Mantova nei secoli XIX e XX: dizionario biografico, Mantova 1999, pp. 3180-3181.
[2] Il nome di Rino Veneziani compare tra gli quelli di quanti frequentavano in amicizia il filosofo durante i suoi ultimi mesi. La notizia è riportata da Gian Francesco Marini, che fu introdotto da Vittorio Osimo in casa del maestro e che gli scattò diverse fotografie. Cfr. Gian Francesco Marini, Roberto Ardigò, Milano 1921, p. 22; Büttemeyer W., Lettere edite…cit., vol.II: 1895-1920, Frankfurt am Main, 2000, n. 951, pp. 446-447. Il raffronto con le poche opere documentate dello scultore Veneziani tuttavia fanno nascere qualche sospetto sull’originalità dell’ideazione dell’opera, per molti aspetti molto vicina ai modi di Carlo Cerati che già aveva ritratto il maestro nella targa del Liceo di Mantova nel 1909. La coincidenza inoltre della presenza del motto ardigoiano (che i documenti attestano presente sul busto in gesso donato dal filosofo alla Biblioteca nel 1919 e purtroppo andato disperso) induce a ipotizzare che possa trattarsi della copia di quel busto. Non ci sono tuttavia documenti a sostegno di questa che resta quindi per ora solo un’ipotesi da vagliare.
[3] “Procellaria”, maggio 1920, pp. 8-9.
[4] G. Marchesini, Lo Spirito evangelico di Roberto Ardigò, Bologna 1919, p. 19.
[5] G. Marchesini, Roberto Ardigò. L’uomo e l’umanista, Firenze 1922, p. 61.
[6] Büttemeyer W., Lettere edite…cit., vol.I: 1850-1894, Frankfurt am Main, 1990, n. 332, pp. 328-329.
[7] Il cartellino individuale conservato presso L’ASCMN registra come abitazione dell’Ardigò dal 25 febbraio 1881 al 14 settembre 1888, data del suo trasferimento a Padova, una casa in via Bronzetti, 8.
[8] Gazzani A., L’Ardigò artista, in Groppali A., Marchesini G., a cura di, Nel 70° anniversario di Roberto Ardigò, Torino 1898, p. 101-102. Riportiamo l’intero brano perché estremamente significativo: …Chi ricorda la sua casa in Mantova, non può aver dimenticato il giardino, trasformazione di un sassoso cortiletto per opera in gran parte della sua stessa mano, dove egli aveva raccolte e con arte mirabile disposte le più svariate piante; quale slanciante l’alto fusto e i rami oltre il muro di cinta, quale sorgente appena da terra formando un’ombrosa macchia, e i sinuosi aggiramenti dei viali, putti e amorini; e ricorderà l’edera e l’altre piante coprir tutto il muro verde, destando un intenso senso di pace e di tranquillità, e la grotta sassosa, egli tante ore si ritrasse pensando, e che fa rivivere nella fantasia un popolo di ninfe e le descrizioni di Ovidio e dell’Ariosto; e da per tutto una frescura di campagna, ed il silenzio della solitudine, di quella solitudine tanto cara al nostro filosofo, nella quale gusta tutto il dolce della meditazione scientifica. Ed anche ora nella sua casa in Padova, remota dal centro e dal rumore della città, egli ha rinnovato quasi il giardino di Mantova, rivelando nei più minuti particolari la sua mente calcolatrice dell’ordine, dell’euritmia, dell’armonia…
[9] Marchesini sottolinea più volte le difficili condizioni economiche in cui è costretto a vivere Ardigò, prima a causa dello scarso stipendio di insegnante, poi per la pensione ancora più misera, tanto che più volte è costretto a ricorrere al Monte di pietà. G. Marchesini, Lo Spirito evangelico di Roberto Ardigò, Bologna 1919, pp.23-26, 112 nota 30.
[10] Piero Preda (1879-1940) inviò 500 lire trimestrali sino alla morte di Ardigò. Cfr. Büttemeyer W., Lettere edite…cit., vol.II: 1895-1920, Frankfurt am Main, 2000, n. 913, pp. 423-424, vedi anche n. 914, p. 424 e 919-920 p. 426. Da parte sua Marchesini rende merito al Preda in G. Marchesini, Lo Spirito evangelico di Roberto Ardigò, Bologna 1919, p. 112, nota 30.
[11] ASCMN, XV.2.1 1921, prot. 1812, lettera del 4 aprile 1929. La lettera riporta anche l’elenco dei bene donati: 1 maschera di Roberto Ardigò; 1 forma della maschera; 1 cofanetto contenente le reliquie della sua barba; 1album contenente le firme di amici e ammiratori, due busti in gesso dello scultore veneziani
1 ritratto a olio di ardigò; 2 ritratti a olio dei suoi nonni; 1 binocolo di sua proprietà. Gli oggetti furono effettivamente trasportati a Mantova il 6 aprile 1929.
[12] ASCMN, XV.2.1 1921, prot. 1812, lettera del 4 aprile 1929. Lettera del Ferrarini al Podestà del 2 maggio 1929.