L’anziano ma lucidissimo professore, finalmente libero dai gravosi impegni scolastici può dedicarsi ai suoi studi, benché affaticato e tormentato da disturbi e acciacchi e soprattutto dalle preoccupazioni economiche.
La pensione è infatti poverissima e l’incarico ministeriale che i suoi discepoli riescono con fatica a fargli avere, non lo solleva dall’ansia di non poter far fronte alle spese, nonostante una condotta di vita sempre molto modesta e attenta.
La sua salute progressivamente viene meno. Gli occhi si affaticano facilmente, l’udito va spegnendosi, le gambe non reggono. Ardigò si consola tra i suoi libri, studiando e riflettendo, trattenendo una fedele corrispondenza coi suoi discepoli più affezionati: Giovanni Marchesini, Giovanni Dandolo, Giuseppe Tarozzi, Erminio Troilo, Cesare Ranzoli e gli amici più fidati, come Pasquale Villari.
Lavora con fatica alla pubblicazione dell’XI e ultimo volume delle sue Opere Filosofiche. Nel 1915 lo scoppio della Prima Guerra mondiale lo vede animato da un solido patriottismo che gli fa rispondere a chi gli chiede che posizione avesse: Bruttisima cosa la Guerra; ma, se necessaria, come nel presente nostro caso, non esitare a farla, e fiducia nell’esito desiderato.
Nel 1917, sempre più stanco e affaticato, mentre Padova è bersagliata dai bombardamenti particolarmente duri tra dicembre 1917 e gennaio 1918, Ardigò detta le disposizioni funerarie chiedendo di essere sepolto a Padova accanto ai fratelli Olimpia e Giulio. Scrive anche il proprio epitaffio nel quale dichiarava la sua vita dedicata interamente alla scienza alla scuola.
Immagine: Ardigò nel 1912, in G. Marchesini, Lo spirito evangelico di Roberto Ardigò, Bologna 1919